Choice’s Anatomy
Mai come in questo periodo, “scegliere” è diventato un vero lusso, non tanto per una carenza di opzioni, anzi. Adesso proliferano opzioni e, purtroppo, anche vincoli. Interi sistemi, partendo da quello politico e per passare a quello religioso son in una letterale crisi decisionale, il vecchio modo di decidere (privo della consapevolezza sui sistemi adattivi complessi) per quanto già si fosse dimostrato carente, mai come in questo periodo, si sta dimostrando ulteriormente fallace. Questo nuovo contesto in cui operiamo ha portato al “riaffiorare dell’essenziale” come gli scogli brentoni che appaiono solo con la bassa marea.
Fortunatamente sono nato in una città di mare e ricordo con piacere quando da piccolo d’estate giocavo a fare “l’esploratore” saltando sugli scogli affiorati per la bassa marea…per chi non lo avesse mai provato, quelli sono gli scogli più scivolosi in assoluto perché pieni di muschio verde. Proprio in questi casi, la domanda “su quale scoglio saltare?” diventa critica, visto che non ci sarà acqua intorno a noi in cui “galleggiare” in caso di caduta (quanti lividi a colorare i ricordi 😀 )…ed è proprio per questo, che oggi vorrei parlarvi di come prendiamo le decisioni e condividere con voi quello che ho appreso sull’impatto che la “choice’s anatomy” ha nel mondo della formazione, della consulenza e non solo.
Per farlo, userò 3 storie…
STORIA #1
Sin da piccoli, grazie alla mentalità classica che pervade la nostra cultura dall’asilo fino all’università, siamo stati abituati a pensare che la SCELTA GIUSTA/SODDISFACENTE sia quella maggiormente ponderata e analizzata: frutto di un’analisi cosciente (alla quale dedichiamo tutta la nostra attenzione).
Nel 2006 Ap Dijksterhuis (uno psicologo olandese) con l’ipotesi del “deliberation-without-attention” ha cercato di rispondere alla domanda: “Le scelte coscienti son efficaci sia nei contesti semplici che in quelli complessi? Quanto ci soddisfano?”. Per farlo si è servito di 4 esperimenti, io vi mostrerò quelli a mio parere più importanti (il primo e il quarto).
Nel primo esperimento ha preso due gruppi di persone alle quali ha chiesto di scegliere una tra 4 auto in 4 situazioni diverse:
– Semplice cosciente/incosciente
– Complessa cosciente/incosciente
Il semplice o complesso era stabilito dal numero di aspetti da valutare (4 VS 12) il cosciente dall’incosciente differiva dal modo in cui i soggetti trascorrevano i 4 minuti dati per effettuare la scelta (nello stato di cosciente i soggetti erano del tutto indisturbati, nello stato incosciente veniva chiesto ai partecipanti di risolvere anagrammi).
Dal grafico si osserva come nella situazione semplice un maggior numero di soggetti si è avvicinata alla risposta “più giusta” usando un criterio di scelta cosciente/analitico, mentre nella situazione complessa quelli che hanno scelto “incoscientemente” hanno letteralmente surclassato i cosiddetti “analisti”.
Nel quarto esperimento ha dimostrato la correlazione tra complessità della scelta, coscienza e grado di soddisfazione dopo aver scelto: come si può osservare dal grafico maggiore è la complessità della scelta, minore è la soddisfazione di chi ha optato per una scelta cosciente usando un metodo analitico.
Pertanto, la domanda nasce spontanea…è meglio usare tutte le varie tecniche di decision making che ci insegnano nei vari master/MBA oppure una bella scelta di pancia sarebbe molto più efficace e ci porterebbe a dormire sonni più tranquilli? Tenete a mente questa domanda perché cercherò di rispondere a breve.
STORIA #2
Ora tu pensa: un pianoforte. I tasti iniziano. I tasti finiscono. Tu sai che sono 88, su questo nessuno può fregarti. Non sono infiniti, loro. Tu, sei infinito, e dentro quei tasti, infinita è la musica che puoi fare. Loro sono 88. Tu sei infinito. Questo a me piace. Questo lo si può vivere. Ma se io salgo su quella scaletta, davanti a me si srotola una tastiera di milioni di tasti, milioni e miliardi. Allora su quella tastiera non c’è musica che puoi suonare. Ti sei seduto su un seggiolino sbagliato: quello è il pianoforte su cui suona Dio.
Spesso, sempre a causa del nostro retaggio classico, pensiamo che quanto più siano vicine tra loro le opzioni in termini di risultato, tanto più dobbiamo analizzare in maniera cosciente usando modelli e stratagemmi per individuare la “SCELTA GIUSTA”, spesso in questi casi raggiungiamo una sorta di paralisi decisionale che prende il nome di “over-thinking”; cioè ci pensiamo troppo e non prendiamo una decisione. Il peggio è che in questo caso non ci accorgiamo di essere nella cosiddetta “zone di indifferenza”. Novecento (il protagonista del film) sa nel suo inconscio che quella di scendere dalla nave è la scelta giusta, che comunque fosse andata lui avrebbe avuto una storia da raccontare, sia che fosse riuscito a re-incontrare la donna di cui era innamorato e sia che non ci fosse riuscito, ma la sua parte analitica/cosciente lo ha messo nella situazione di over-thinking e sappiamo tutti poi come è andata a finire.
Pertanto, la domanda nasce spontanea…come faccio a prendere una decisione tra più opzioni utilizzando un metodo analitico che non mi porti all’over-thinking o peggio ancora a non riconoscere che sono in una zona di indifferenza? Anche in questo caso, chiedo un ulteriore sforzo della vostra memoria per mettere in stand by questa domanda alla quale cercherò di rispondere a breve 😊
STORIA #3
Questo sono io nella mia partita di esordio nel campionato italiano di Serie B di Calcio a 5 in qualità di arbitro.
Spesso la Serie B è piena di giocatori “scafatissimi” alcuni che probabilmente han giocato anche in nazionale, alcuni addirittura stranieri (non poche le volte in cui ho fatto uso del mio portoghese per avere presa sui giocatori). Poiché in un modo o nell’altro, si sa quando un arbitro è esordiente…i giocatori più “scafati” in certi casi si “divertono” nel fare dei “piccoli test” per capire fin dove si possono spingere…
Nella fattispecie, proprio uno di questi “scafati” a un certo punto della gara mi rivolge la parola mentre era seduto in panchina dicendomi “Arbitro, per favore ammoniscimi!” (gli serviva perché in questo modo non avrebbe giocato la partita successiva e avrebbe azzerato la somma di ammonizioni). In 10 anni, tra campionati regionali di calcio a 5 e calcio a 11 non mi era mai successa una cosa simile.
Pochi giorni prima però, durante un allenamento con il mio collega più esperto Nicola, che calcava i campi della serie A già da un bel po’ di anni ad altissimi livelli, mi aveva raccontato un’esperienza simile suggerendomi una mossa non del tutto “regolamentare”, ma di sicuro molto efficace.
Il suo suggerimento è stato: in questo caso io “suggerisco” al giocatore di simulare di subire un fallo: in questo modo io faccio un’ammonizione tra le più difficili del regolamento, aumento il voto della mia prestazione e allo stesso tempo il giocatore ottiene ciò che vuole.
Nel mio episodio, io non arrivai ad essere tanto smaliziato da proporgli la simulazione, ma comunque suggerì al giocatore di entrare e non rispettare volutamente la distanza prescritta sulle riprese di gioco e così fu, io feci un’ammonizione fulminea incrementando il voto della mia prestazione e lui ottenne la sua ammonizione tanto agognata.
L’anatomia di una decisione
Solo ora a distanza di anni, dopo aver letto le ricerche di Gary Klein ho scoperto il perché io abbia preso quella decisone in quel momento. A differenza di Kahneman, Klein non distingue tra pensiero lento e pensiero veloce, bensì li integra tramite il modello “Recognition-primed-decision”.
Tramite le sue ricerche su militari, vigili del fuoco e altre professionalità in cui la decisione nel breve è critica, a differenza di Kahneman che si è limitato a dimostrare i limiti delle euristiche umane testandole su studenti universitari, Klein ha dimostrato che la “choice’s anatomy”(l’anatomia della decisione) e composta da:
1-Classificazione della situazione in cui siamo per individuare possibili match con i nostri modelli mentali legati alle nostre esperienze/competenze.
È in questo momento che il nostro scegliere inconsciamente agisce, spinto da quella che viene definita conoscenza tacita.
2-Creazione di una serie di opzioni “action script” che non sono altro che il momento in cui la conoscenza tacita e quella esplicita (strumenti e tecniche) convergono in possibili azioni;
3- tali opzioni poi vengono valutate in maniera analitica (quindi cosciente) in quanto il nostro cervello crea delle simulazioni virtuali dell’esito di ognuna: appena una delle simulazioni dà esito negativo si passa all’opzione potenzialmente più soddisfacente.
Tornando alla mia storia, io ho usato l’esperienza del mio amico Nicola per accrescere la mia conoscenza tacita permettendomi di avere una risposta ottimale e far leva sulla mia conoscenza esplicita (regolamento del calcio a 5) per spuntarla in un contesto nel quale non mi ero mai trovato prima.
E quindi ora è giunto il momento di rispondere anche alle altre due domande precedenti:
“è meglio usare tutte le varie tecniche di decision making che ci insegnano nei vari master/MBA oppure una bella scelta di pancia sarebbe molto più efficace e ci porterebbe a dormire sonni più tranquilli?”
In questo caso la risposta è: potrete far leva su tutta la conoscenza esplicita che volete (e quindi le tecniche di decision making), ma se non avete conoscenza tacita correrete comunque dei rischi. Infatti, nel libro Klein parla di un professore universitario che insegna tecniche di decision making analitiche, che però poi va in tilt nel momento in cui deve applicarle per scegliere il proprio appartamento 😀
La seconda domanda era:
“come faccio a prendere una decisione tra più opzioni utilizzando un metodo analitico che non mi porti all’over-thinking o peggio ancora a non riconoscere che sono in una zona di indifferenza?”
La risposta in questo caso è: se non sapete nulla sui possibili esiti di una scelta o se questi vi sembrano tutti simili, sperimentate!!! Solo così lo saprete (alias, è inutili farsi seghe mentali sui massimi sistemi), dopotutto sperimentare minimizzando i rischi è quello che sostiene l’empirismo stesso!
Ecco, in questo momento immagino che starete pensando: “uff…un altro che parla di empirismo e Agile” e invece no! Non è qui che voglio far convergere le mie e le vostre riflessioni.
A valle di questo mio percorso io son qui per sollevare una perplessità: sarà per caso che proprio noi Agilisti stiamo applicando approcci “classici” o “Tayloristici” per diffondere i valori e i principi Agili?
Lo so che può sembrare un ossimoro, ma il motivo per cui ho questa perplessità è legato al fatto che, come abbiamo visto, nell’anatomia della decisione, molto è influenzato dalla conoscenza tacita, ma molto spesso in qualità di coach, trainer o manager di un team, ci focalizziamo tantissimo sulle conoscenze esplicite, perché son quelle più semplici da trasmettere e sulle quali poter dare feedback. Spiegare che si tiene lo sprint planning in scrum (conoscenza esplicita) rispetto al costruire una conoscenza tacita sulle ragioni che definiscono lo sprint planning è tutt’altra cosa…e richiede strumenti di insegnamento totalmente diversi. Spiegare ad un collaboratore la mera procedura, rispetto all’offrirgli la conoscenza tacita per riconoscere quando applicare quella procedura, può portare effetti positivi decisamente devastanti: quanti sono quei manager che possono affermare di offrire questo supporto ai propri team?
La stessa perplessità mi è nata in merito all’ambito della consulenza in generale: le grandi aziende di consulenza e i grandi brand mettono letteralmente “radici” all’interno delle loro aziende clienti che si ritrovano ingarbugliate in “vestiti organizzativi” preconfezionati che non permettono la generazione di nuove competenze e conoscenza tacita, anzi, forse le riducono di gran lunga. E quindi mi chiedo: è davvero questa la consulenza che vogliamo offrire ai nostri clienti? E soprattutto è davvero questo ciò di cui questo periodo storico ha bisogno?
Per concludere, mai come in questo periodo storico è diventato cruciale essere consapevoli dell’anatomia del processo decisionale: io nel mio piccolo ho voluto sollevare una serie di perplessità, anche perché in qualità di Agile Coach & Trainer ho maturato questa consapevolezza e sto cercando di fare dei piccoli esperimenti. Una cosa è certa: privi di conoscenza tacita anche spingendoci ai limiti della conoscenza esplicita rimarremo comunque delle belle Ferrari, alimentate però, con benzina agricola.
A questo punto mi rivolgo a voi: siete consapevoli dell’anatomia del processo decisionale? Se sì, cosa fate per far leva sulla conoscenza tacita in modo tale da sfruttare al meglio la conoscenza esplicita? Oppure siete solo “procedure e distintivo”? 😊
guarda il replay https://inspearit.it/blog/choices-anatomy-2/