Transformative Leadership: tra emozioni e algoritmi
“Non abitiamo più la terra e il cielo, ma Google Earth e il Cloud” afferma il filosofo sudcoreano Byung-Chul Han.
Una massa di informazioni ci investe ogni giorno. Come ogni inondazione, anche questa agisce sulle nostre esistenze, spazza via confini, rimodella geografie. Ormai sono i dati e non più le cose concrete a influenzare le nostre vite. Le non-cose stanno prendendo il sopravvento sul reale, sui fatti e la biologia. Il mondo si fa sempre più spettrale ed opaco. Chi si occupa di organizzazioni e complessità, in genere a questo punto della narrazione, richiama il framework Cynefin creato da Dave Snowden di Cognitive Edge per indicare come cambia, tra le altre cose, anche il processo decisionale in contesti complessi, volatili ed ambigui.
Ai leader è richiesto di preparare aziende in grado di evolvere continuamente, di sperimentare appunto prima di percepire e rispondere. Bisogna poter convivere con quella quota di incertezza ed opacità, che passa certamente anche attraverso una vertiginosa infodemia, e che bolla le best practice come boomer e adotta un approccio di pratica emergente evocata per primi dai contesti agili.
’è una lezione che le aziende hanno imparato negli ultimi tre anni, tra pandemia e tensioni geopolitiche: quella di doversi trasformare con più velocità e maggiore frequenza rispetto al passato per reagire tempestivamente alle turbolenze continue e improvvise del mercato, questo il leitmotiv anche del recente studio pubblicato sulla Leadership da EY e l’Università di Oxford.
Dato infatti l’attuale scenario macroeconomico di riferimento, caratterizzato da difficoltà delle catene di approvvigionamento delle materie prime, dal rialzo dei tassi d’interesse e dalla spirale inflazionistica, dalla dinamicità dei mercati legata anche ai modelli di consumo e stili di comunicazione delle Gen Z, è di vitale importanza chiedersi, ora più che mai, quali siano i fattori abilitanti e gli acceleratori per trasformare le imprese del futuro.
Un futuro che, a proposito di pratiche emergenti richiama con sempre maggiore frequenza e consistenza, l’uso e la sperimentazione dell’intelligenza artificiale (AI) e l’impiego di algoritmi anche in contesti organizzativi. Le Big Tec stanno puntando tutte sull’utilizzo delle loro gigantesche banche dati per lo sviluppo dell’AI.
ChatGPT è la prova incontestabile di un salto di qualità tecnologico, definita come the next big thing. Essa, come ben sottolinea l’inchiesta di #dataroomgabanelli dello scorso 8 febbraio, non è né la riproduzione di un cervello umano né la somma neutra di conoscenze e saperi. È invece un software che apprende e si orienta a seconda degli obiettivi da raggiungere.
Questo modello di linguaggio artificiale lanciato a fine novembre, dopo 2 mesi e mezzo di vita, ha già oltre 100 milioni di utenti. È addestrato su 300 miliardi di parole raccolte da giornali, libri, siti web e conversazioni. Riesce a rispondere qualsiasi tipo di domanda. Genera testi originali e può tradurli in 95 lingue, risolve equazioni matematiche anche complesse, scrive cv, lettere di presentazioni, testi mediamente sofisticati, comprese le poesie, elabora informazioni e fornisce risposte.
Ho pertanto chiesto a ChatGPT:
La stessa domanda è stata posta a 25 senior leader, 935 top manager e 1.127 dipendenti di grandi aziende, con un fatturato da 1 a 50 miliardi di dollari, operative in 23 paesi del mondo in più di 10 settori chiave, tra cui: manifattura, commercio, energia e finanza.
Per guidare le imprese e supportare trasformazioni, organizzative di successo, contrariamente a quanto riferito da ChatGPT, occorre – in primis – potenziare il supporto emozionale dei dipendenti, rafforzare una qualità della leadership che ponga al centro le persone, e che sia quindi capace di costruire una visione autentica che pervada in modo trasversale tutta l’organizzazione. Per creare ambienti di lavoro psicologicamente sicuri, in cui le persone sentono di potersi fidare ed esprimere liberamente, è necessario un ascolto autentico, in grado di abilitare conversazioni capaci di catturare la parte nucleare delle persone stesse, quello spazio interiore che ha cioè a che fare con valori e motivazioni profonde di ciascuno di noi. Una leadership trasformazionale che sia in grado di liberare spirito creativo, innovazione, e proattività a partire dalla creazione di una cultura in cui al centro vi sia il fattore umano. Inoltre, evidenzia lo studio di EY e Oxford University, il 79% dei dipendenti reagisce con emozioni positive nel caso in cui la trasformazione diventa consapevole per i dipendenti, ovvero guidata da una vision chiara; mentre il 76% reagisce con emozioni negative quando questo non accade
Ho quindi chiesto a ChatGPT:
Ebbene anche ChatGPT riconosce, non senza un indirizzamento dialogante, che le emozioni e l’ascolto contano nell’interazione con i dipendenti. Addirittura, esse rappresentano una componente cruciale nel tasso di successo delle trasformazioni aziendali rappresentandone ben il 73% dei casi.
È molto probabile che il lancio delle chatbot sia in qualche modo sovrapponibile allo sbarco sulla luna evocato dal conto alla rovescia della torre di Controllo lanciato in apertura in Space Oddity, e che quindi una nuova Era si stia in qualche profilando.
E allora come non sentire forte il desiderio per la ricerca di un giusto bilanciamento tra AI e IE che sia però in grado anche di farci riconnettere alle cose concrete e quotidiane, capace quindi di farci abitare la terra e il cielo delle relazioni con i dipendenti, riportando questa volta a casa il Maggiore Tom?
ChatGPT sul punto afferma:
Autore: Leila Falzone – Agile & Executive coach