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Progettare cambiamenti in sintonia con le persone

Quali sono i vissuti emotivi delle persone, fuori e dentro le organizzazioni, quando si trovano a dover gestire un cambiamento o una trasformazione? Perché è importante chiederselo? O meglio, perché ce lo chiediamo in modo più consistente ora?

Quanto è performante il tuo team?

Per molto tempo i manager, reduci anche da una cultura manageriale ancorata al management scientifico, hanno considerato le emozioni alla stregua di un rumore di fondo che disturbava il funzionamento razionale dell’azienda. E’ solo a partire dalla metà degli anni ’90 con Daniel Goleman, autore del best-seller- L’intelligenza Emotiva, e lo sviluppo contestuale delle scoperte delle neuroscienze, che si è approdati ad una fuoruscita degli schemi concettuali delineati da Cartesio prima, e poi ripresi dal management scientifico, con Adam Smith, Taylor, Ford, Drucker e Porter che hanno, via via,  formalizzato la risposta al bisogno di fondo posto dalla successione delle 3 rivoluzioni industriali, teorizzando un’organizzazione scientifica del lavoro basata sua una sua scomposizione prima per fasi, riorganizzata quindi su una catena di montaggio con l’obiettivo dell’incremento di produttività  attraverso l’innalzamento della qualità e l’eliminazione di sprechi.

Tuttavia, in sistemi sociali complessi la misura del quoziente intellettivo si è dimostrata non solo insufficiente ma anche scarsamente attendibile per poter “danzare in equilibrio lungo i bordi del disordine” sotteso ad un mondo V.U.C.A.

La misura che conta, che è oltretutto allenabile e quindi può aumentare, è appunto l’intelligenza emotiva.

Joshua Freedman – Ceo di Six Seconds®, nel suo libro “Intelligenza emotiva al cuore della performance” afferma:

“Le emozioni guidano le persone, e le persone guidano la performance”.

Joshua Freedman – Ceo di Six Seconds®

Studi ed indagini costanti e ripetute nel tempo, in ambito aziendale, dimostrano come un clima organizzativo positivo, un alto livello di engagement siano linearmente e positivamente correlati al livello di performance. È l’intelligenza emotiva, cioè quella qualità dell’intelligenza che ha a che fare con la consapevolezza e gestione del se’ fino ad abilitarci sempre all’intenzionalità nel ciclo pensiero-emozioni-azioni, che influisce sia sulla performance individuale che di team.

Il focus è dunque sullo stato interiore delle persone che devono imparare ad estendere e coltivare un vocabolario emotivo per poter accedere a quel ricco potenziale sotteso alla consapevolezza di sé, alla capacità di autoregolazione e connessione profonda con gli altri.

Le migliori pratiche del processo di Change Map modellizzate da Six Seconds® e basate anche sui contributi delle neuroscienze della hot cognition, affermano che per innescare un livello di motivazione funzionale al processo di cambiamento è necessario attivare emozioni quali entusiasmo, gioia, coraggio, curiosità al fine di poter riflettere su ciò che è necessario eliminare, continuare a fare o addirittura fare di nuovo per poter navigare le sfide che la complessità pone.

Eppure, ciò che è nuovo ci spaventa, ci fa paura ed in alcuni casi può addirittura paralizzarci.

In effetti anche Platone in Fedro, riferendosi alla scrittura, parla di astruseria moderna in discontinuità con la routine, diremmo oggi, della tradizione orale.

Sembra proprio che non ci sia niente di così vecchio, come l’allarme per la modernità, dice AnnaMaria Testa nel suo libro “Il coltellino svizzero”, rispetto al tema del nuovo.

Dunque, perché siamo da sempre così tanto spaventati dal nuovo?

A venirci in soccorso, per approssimare una prima risposta, è l’etimologia della parola neofobia; che descrive un sentimento di paura del nuovo non in quanto tale, bensì delle sue imprevedibili conseguenze.

Si preferiscono, addirittura, conseguenze negative note, all’imprevedibilità e mancanza di controllo.

Questo essenzialmente a causa di 2 bias cognitivi che distorcono le nostre percezioni in relazione al valore che abbiamo poiché lo sovrastima (effetto dotazione) e l’avversione alle perdite (loss avversion) che è molto più alto in termini di stima quando si valuta un possibile beneficio futuro.

Come uscire da questa piazza del problema anche in ambito organizzativo?

George  Kohlrieser, professore di leadership a IMD Business School, ci dice che se si crea un legame emotivo e  si capisce cosa di cui la persona ha bisogno, è possibile cambiarne la mentalità. Attraverso cioè la guida dell’occhio della mente, è possibile mantenere quel se’ positivo e quindi attivare la capacità di selezionare opportunità.

Il nostro cervello cerca, di default, ciò che è negativo, fino a quando non sarà sicuro di sopravvivere.  Quando sente di sopravvivere la nostra componente rettile lascia i comandi alla neocorteccia, che è la componente di cervello formatosi più recentemente, e inizia a valutare diverse e molteplici opzioni, e a cogliere il positivo. È solo a questo punto che iniziamo a giocare per vincere.

È dunque centrale chiedersi sul “cosa” la nostra mente si stia focalizzando, cosa proviamo e come gestiamo le nostre emozioni.

In contesti organizzativi gli elementi che tipicamente ostacolano il cambiamento sono legati a fattori emotivo-relazionali in una misura di oltre il 70%, mentre solo il 30% ha a che fare con aspetti economico-finanziari.

E questo a causa del fatto che non si è prima creato quel ponte emotivo verso i bisogni delle persone, per cui se ne perde e disperde il legame e quindi anche l’opportunità di cambiarne mentalità, e convergere verso un risultato win-win.

Questo significa che le emozioni e la loro gestione diventano cruciali per avere successo in iniziative di trasformazione e cambiamento in una misura davvero consistente.

 La fiducia, che è la risultanza di più dimensioni, quali la motivazione, il lavoro in team, il cambiamento e l’esecuzione, è in grado addirittura di predire la variazione in termini di outcomes di performance con un’accuratezza di oltre il 70%, mentre la presenza di stati emotivi quali la gioia è in grado di potenziare i team fino a 10 volte di più in termini di soddisfazione e capacità di raggiungere i risultati.

È inoltre possibile misurare non solo le singole dimensioni considerate cruciali per un intervento di cambiamento, ma di mappare anche ciascun outcomes di performance sia a livello di leader, sia di team che organizzativo valutandone efficacia e livello di engagement anche con riferimento ad un campione normativo mondiale e quindi agli scostamenti relativi. Siamo infine persuasi che una buona base per iniziare a progettare cambiamenti in sintonia con le persone possa essere disegnata almeno a partire dalla possibilità di porre alcune domande:

  • Quali sono i bisogni e le “basi sicure” delle persone del team?
  • Quali sono le mappe socio-emotive di team?
  • Le dinamiche interpersonali stanno aiutando a raggiungere i risultati di team?
  • Che tipo e qualità della leadership c’è?
  • Quali soft-skills abbiamo a disposizione per navigare le sfide?

Le possibili risposte emergeranno strada facendo, e il senso della narrazione sarà scandito dal ritmo del team che imparerà, a quel punto, a danzare in equilibrio lungo i bordi del disordine di un modo V.U.C.A.

Leila Falzone Agile & Executive Coach

Pubblicato su 07/03/2023